Giocare d'anticipo sulla siccità: intervista a Fabio Costantini

Giocare d'anticipo sulla siccità: intervista a Fabio Costantini

In occasione della Giornata mondiale contro la desertificazione, lo scorso 17 giugno, la Cia-Agricoltori italiani è stata molto chiara: il 50% della produzione agricola del Nord Italia è a rischio a causa di uno dei periodi siccità peggiori nella storia del nostro paese.

Questo potrebbe portare a un calo del 30% della produzione orzo e di frumento in Lombardia e di una diminuzione del 30% della produzione di cereali in Piemonte; secondo Coldiretti, «La produzione di foraggio è di un terzo rispetto a quella necessaria e si registra una forte mancanza d’acqua per abbeverare il bestiame, situazione che fa vivere alla zootecnia una grave difficoltà. Ad essere colpiti dalla siccità anche l’olivicoltura, con le piante in evidente stress idrico, ed il basilico per il classico pesto alla genovese, che ha bisogno della continuità dell’irrigazione per crescere».

Per cercare di capire qualcosa di più sulla situazione agricola da chi la vive tutti i giorni, abbiamo fatto quello che sappiamo fare meglio: prendere in mano il telefono e farci raccontare, in prima persona, come si vive e si lavora in un momento di crisi.

Fabio Costantini è un agricoltore di Rapallo, vicino a Portofino, che dopo anni di lavoro in un mobilificio, sei anni fa ha deciso di cambiare vita e prendere in mano i terreni di suo padre, per coltivarli. Contemporaneamente, ha aperto un profilo Instagram (@fescion.farmer, nome datogli dai suoi amici che gli dicevano sempre che voleva fare “il contadino fashion” mettendo le foto su IG), e con il tempo ha raccolto una community di 15k followers.

Abbiamo parlato di questo periodo di siccità, di come poter ridurre il consumo idrico nel lavoro dell’agricoltore e di quanta attenzione dare all’impronta idrica dei prodotti.

Come stai vivendo questo momento di crisi idrica? È una situazione che hai già vissuto, anche in maniera minore, in passato? O è la prima volta per te?

Innanzitutto, premetto dicendo che nel mio lavoro sono praticamente un neonato: sei anni sono pochi rispetto esperienze decennali di altri agricoltori: ma confrontandomi con mio padre, agricoltore da sempre, stiamo notando anche noi le differenze, e che c’è bisogno sempre di più di contromisure tecniche.

Quali sono le tue?

Io utilizzo concime organico, che in pratica è tutto quello che può essere considerato “scarto”, dal letame dei miei asini all’erba falciata: questo tipo di concime non solo arricchisce il suolo con sostanze organiche, ma lo aiuta a trattenere molto meglio l’acqua, anche in previsione di momenti come questi. Infatti, un terreno non ipersfruttato che è ricco di sostanze e acqua al suo interno si “autogestisce” un po’ di più, ed è molto utile in momenti come questo.

In più, devo dire, io sono estremamente fortunato: coltivo in un contesto di terrazzamenti in cui anche volendo non potrei portare mezzi pesanti, come ad esempio il trattore. I miei terreni sono pieni di biodiversità, alcune verdure crescono sotto alberi da frutto, è tutto un po’ più “confuso” ma anche interconnesso: gli alberi danno un’enorme mano al terreno, lo mantengono umido perché portano sostanze in superficie e perché lo mantengono all’ombra. Nel mio caso, la natura mi dà una grossa mano, ma lo posso fare perché ho dei terreni ridotti e poche strumentazioni tecniche.

In questo momento è necessario ottimizzare l’uso dell’acqua: quali i modi migliori?

Il modo principale è sicuramente quello della pacciamatura: in natura non esiste la terra nuda, quella che viene lasciata dopo il passaggio del trattore per intenderci. E inoltre, è controproducente perché in questo modo tutto il calore del sole colpisce direttamente il terreno e l’acqua evapora molto più velocemente. La pacciamatura invece consiste nel coprire la terra, per “tenerla al sicuro”: basta anche erba tagliata, o paglia, oppure si può fare anche la pacciamatura viva con erba e altre piante. Quest’anno mi ha dato una mano come mai prima.

E i risultati si vedono, al di là di questo momento di crisi, anche sui prodotti che poi escono: se guardi delle zucchine cresciute in un campo aperto o in un campo pacciamato hanno un aspetto completamente diverso.

Dal punto di vista pratico poi, consiglio sempre di irrigare la mattina presto, perché la temperatura della terra è più bassa e le radici assorbono molta più acqua: questa cosa vale per quasiasi pianta, anche quelle di casa. Si può anche bagnare meno, perché siamo sicuri che assorbiranno tutto.

Poi, anche la tecnologia dà una mano: un impianto di irrigazione intelligente che aiuta a gestire tempi e quantità d’acqua fa la differenza. Ma secondo me soprattutto la stimolazione della biodiversità è la risposta: gli alberi nei propri terreni, non necessariamente da frutto, ma anche solo di “supporto” sono di grande aiuto perché possono riparare da pioggia, sole, grandinate e venti forti, tutte cose che danneggiano i raccolti.

Alla fine, la domanda è: al di là delle condizioni naturali su cui non abbiamo il controllo, cosa possiamo fare noi agricoltori per giocare d’anticipo e prevenire questo tipo di crisi nei nostri terreni?

In che senso?

Prendiamo situazioni limite come la siccità, o le bombe d’acqua. Noi viviamo e lavoriamo in queste situazioni estreme, ma anche in situazioni “nel mezzo”, in cui tutto è un po’ più tranquillo. Durante i periodi di calma, come possiamo dare una mano ai nostri terreni per sopportare meglio gli eventi inaspettati? Come raccogliamo l’acqua? Come la incanaliamo? Come arricchiamo il suolo per renderlo più spugnoso e ricettivo? È importante pensare sempre a lungo termine, perché potrà accadere e riaccadere di nuovo.

Ad esempio, io prima coltivano l’orto in modo diverso molto preciso: in stile Farmville, a quadratoni precisi. Ma con il tempo mi sono reso conto che essere troppo rigidi, eliminare la diversità, togliere queste interazioni al terreno lo danneggia. Secondo me bisognerebbe assecondare l’apparente disordine della natura perché diventa ricco di vita, di piante, di erbe spontanee. Tra l’altro, le erbe spontanee sono molto richieste qui in Liguria, ma pochi le raccolgono perché non crescono ovunque o non c’è la consapevolezza delle loro potenzialità. E sono state tra i primi segni che c’era qualcosa che non andava, quest’anno: gli ultimi raccolti sono stati molto duri e fibrosi, al contrario del solito.

Da agricoltore, saprai meglio di noi come l’impronta idrica della frutta e della verdura che mangiamo a volte sia astronomica, soprattutto se deve percorrere lunghe distanze. Qual è la tua opinione sui “prodotti da supermercato” contro il “km 0”?

Quello della qualità del prodotto a km 0 è un argomento molto più complesso di quello che sembra, anche dal punto di vista idrico: perché è vero che è un tipo di prodotto di gran lunga migliore di quello proveniente da un altro paese, ma quanto è veramente sostenibile?

Qui entra in campo il problema dei concimi chimici. La chimica ha semplificato molto, forse troppo, perché si utilizzano principalmente tre sostanze: azoto, potassio e fosforo. Ma i terreni hanno bisogno di molte più combinazioni, non basta la formula magica a risolvere tutto, anzi un continuo e sempre maggiore utilizzo di questo tipo di sostanze rischia di impoverire il terreno.

Io che sono un piccolo agricoltore, posso scegliere di concimare con sostanze naturali, per migliorare la struttura del suolo, renderla più spugnosa, più recettiva all’acqua e tutte le altre sostanze organiche. Farsi aiutare dal terreno è molto utile: questa cosa non succede purtroppo nelle grandi produzioni, in cui per questioni di mercato si devono velocizzare i risultati.

Stai studiando altre tecniche per diventare sempre più sostenibile, aiutando il terreno anche da un punto di vista idrico?

Sì, in questo periodo mi sono molto appassionato all’agrecologia, per coltivare il più possibile a zero impatto. È una transizione possibile, e come dicevo io sono fortunato perché non uso macchinari pesanti e quindi posso sperimentare: i trattori ad esempio, compattano la terra, la rendono impenetrabile, non promuovono la sua “crescita” e il passaggio di sostanze necessarie, tolgono l’ossigeno agli organismi che ci vivono dentro, uccidendoli. Questo non va bene. L’agroecologia studia realtà alternative, come ad esempio quelle di molte comunità del Sud America che non hanno mai usato questo tipo di tecnologie: hanno coltivato in modo tradizionale e ad oggi riescono a mantenere e far crescere una biodiversità inimmaginabile qui. E questo porta solo valore, soprattutto dal punto di vista del rapporto tra terreno e acqua.