Siccità in Italia: intervista all'ingegnera Sara Serritella

Siccità in Italia: intervista all'ingegnera Sara Serritella

Il periodo di siccità che sta attraversando l’Italia era stato ampiamente annunciato lo scorso inverno, le sue conseguenze ci hanno accompagnato per tutta l’estate e minacciano di proseguire anche nei prossimi mesi. Ma da un punto di vista tecnico, com’è possibile essere arrivati a questo punto? E cosa si dovrebbe cambiare per risolvere la situazione?

Ne abbiamo parlato con Sara Serrittella, ingegnera civile specializzata in idraulica.

Iniziamo da una domanda difficile: se dovessi spiegare a una bambina i motivi di questo periodo di siccità, cosa le diresti? 

Di sicuro non è una cosa semplice! Probabilmente la prima cosa che farei è spiegare da dove arriva l'acqua che utilizza per bere e per fare il bagno, spiegando contemporaneamente l’importanza delle risorse idriche e del lungo percorso che fanno per arrivare nelle case in cui viviamo.

Innanzitutto, l’acqua arriva dalle nuvole, cade al suolo e fa lunghi percorsi, all’interno dei fiumi, laghi, sottosuolo, fino ad arrivare al mare. Il sole riscalda l’acqua e la fa evaporare, e questo vapore visibile (tipo quello di quando facciamo bollire l’acqua per la pasta) risale e arriva di nuovo nelle nuvole, per poi ricadere. L’uomo poi cattura una parte dell’acqua presente nei fiumi e nei laghi, immettendola in tanti canali e tubi, fino a portarla all’interno delle nostre case.

A questo punto bisogna far capire che, per tanti motivi molto complessi, dalle nuvole cadono meno gocce di acqua, quindi abbiamo meno acqua nei fiumi da far entrare nei tubi che arrivano nelle nostre case, come quanto non hai più due caramelle in tasca, ma solo una, perché una si è persa.

Ecco, questa è una prima possibile spiegazione: questa è la siccità meteorologica, ovvero la minore quantità di gocce che cadono dalle nuvole. 

Da dove arriva l’acqua nelle case degli italiani? Dai laghi e dai fiumi o dalle falde acquifere?

L’acqua nelle case degli italiani arriva principalmente dalla risorsa idrica dolce presente nel territorio, a seconda delle diverse disponibilità territoriali. Può arrivare, dai laghi, dai fiumi e dalle falde acquifere. Tuttavia esistono anche dei modi per utilizzare l’acqua salina, con il processo di dissalazione. Attraverso delle opere di captazione, l’acqua è prelevata e, se necessario, potabilizzata con tecniche innovative, poi attraverso una rete di distribuzione formata da condotte di varie dimensioni viene distribuita all’interno delle case, fabbriche, ospedali e così via. Possiamo citare alcuni esempi di opere di captazione in Italia, come il potabilizzatore del Po-Sangone a Torino, le opere di captazione delle sorgenti del fiume Sele che alimentano l’acquedotto Pugliese e il dissalatore dell’Isola del Giglio. Altre importanti opere per la captazione della risorsa idrica sono le dighe, che accumulano l’acqua, oltre per scopi idroelettrici e irrigui, anche per scopi potabili come ad esempio la diga di Carmine nel salernitano. Infine, l’acqua può essere anche prelevata dal sottosuolo, ovvero dalle falde acquifere, attraverso delle opere come i pozzi drenanti.

Le tubature in Italia perdono il 42% dell’acqua immessa prima che arrivi a destinazione (report Istat). Com’è possibile? È un problema risolvibile?

Purtroppo è possibile una dispersione della risorsa idrica, in quanto l’acqua per arrivare nelle case degli italiani, deve, a volte, percorrere diversi chilometri all’interno di tubazioni che sono state realizzate diverso tempo fa. Le tubazioni, con il tempo, possono subire dei danni dovuti principalmente alla corrosione. Infatti, essendo spesso in acciaio, attraversano terreni acidi o terreni con forti dispersioni elettriche che possono causare l’ossidazione del materiale: tale ossidazione con il tempo può formare delle fessure o fori attraverso i quali l’acqua fuoriesce. È un problema risolvibile con la manutenzione costante, spesso tralasciata o non controllata a sufficienza, perché ritenuta meno importante rispetto alla realizzazione di nuove infrastrutture. Un’ulteriore tecnica per il controllo delle fessure è quella di installare sensori per l’efficiente individuazione delle perdite e per una tempestiva riparazione delle medesime. Il Piano Nazionale di Ripresa e resilienza (PNRR), prevede numerosi finanziamenti per la riparazione delle tubazioni e per la digitalizzazione delle stesse.

Dai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) finanziato con risorse europee, 15 miliardi saranno utilizzati per la riqualificazione del sistema idrico. Che tipi di investimenti a livello nazionale servirebbero per evitare situazioni di questo tipo in futuro?

Sembrerà banale, ma un costante monitoraggio dell’infrastruttura esistente e una misurazione costante delle portate all’interno delle condotte può contribuire molto alla localizzazione delle perdite per una veloce riparazione delle corrosioni. Il fine ultimo dovrebbe essere il recupero delle infrastrutture, anche con demolizione e ricostruzione di opere più efficienti; questo può sicuramente indurre a un minor spreco di risorsa idrica. Servirebbero progetti di mappatura delle tubazioni con software specializzati, installazione di valvole e strumenti di misura per il monitoraggio in tempo reale delle pressioni, delle portate all’interno delle tubazioni e dei livelli e dei parametri di qualità dell'acqua all’interno dei serbatoi.

L'Italia sta pagando una multa di 60 mln di euro all'anno all'UE perché non riusa l’acqua depurata per scopi industriali, ma la ributta in mare. Perché c’è questa pratica e perché in Italia non viene utilizzata quest’acqua? 

Credo innanzitutto che sia una mancanza culturale, prima ancora di mancanza di infrastrutture idonee. Bisognerebbe attuare una serie di campagne comunicative per informare i cittadini che l’acqua proveniente dai depuratori può essere riutilizzata senza arrecare danni ai consumatori: le acque sono trattate con sistemi innovativi che consentono di depurare le acque in maniera adeguata.

Poi c’è anche un altro problema: l’acqua depurata dovrebbe rispettare determinati standard qualitativi per poter essere riutilizzata, come già in atto in alcuni Paesi nel mondo. Questo comporterebbe inevitabilmente l’adeguamento degli impianti di depurazione, con un aumento dei costi di depurazione e quindi con un accrescimento del costo a carico degli utenti. Dovrebbero, inoltre, essere incrementati anche i sistemi di stoccaggio e le infrastrutture per la canalizzazione e distribuzione delle acque depurate all’interno del territorio.

Per questi motivi a oggi in Italia stiamo usando acqua proveniente da altre fonti naturali, ma dovrà esserci per forza un cambio di direzione: l’acqua sta diventando un bene sempre meno disponibile rispetto a quanto siamo stati abituati fino ad ora.

In questo periodo si parla di razionamento dell’acqua, ma da un rapporto Istat di qualche mese fa si evidenzia come nel Mezzogiorno siano state applicate già da un paio d’anni. Secondo te il razionamento dell’acqua pubblica può essere una soluzione a questo momento di crisi? Ne vedi altre?

Sì, temporaneamente è un’azione corretta, perché distribuisce in maniera più equa le risorse. Tuttavia non mi sento di escludere che servirebbe una maggiore consapevolezza dell’uso dell’acqua e una maggiore educazione, già a partire dalle scuole elementari, che è una risorsa limitata. È importante iniziare a educare a un utilizzo più parsimonioso dell'acqua, cominciando anche a chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti e sfruttare l’acqua della pentola della pasta per pulire i piatti prima di inserirli nella lavastoviglie, invece di usare acqua potabile corrente, che consuma a volte più di quanto si consumi per un ciclo di lavastoviglie.

Tuttavia, non è da dimenticare che questi accorgimenti hanno un impatto limitato rispetto al prelievo totale di acqua dell’agricoltura e dell'industria. Per questo bisognerebbe avviarsi anche al consumo di cibo e prodotti più sostenibili, facendo attenzione all’impronta idrica dei beni e servizi che utilizziamo. È un parametro importante per comprendere la quantità di acqua necessaria per produrre un determinato prodotto: questo sarebbe un ottimo passo avanti per sensibilizzare e capire meglio come ridurre il consumo di acqua a partire da cibi e prodotti che ne producono un minor consumo, con un radicale cambiamento culturale delle società industrializzate e di uno sviluppo più consapevole dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo.

 

Sara Serritella (Salerno, 1985), dopo una laurea specialistica in ingegneria civile ad indirizzo idraulico, lavora a Siena presso l’ufficio Progettazione e Direzione Lavori dell’Acquedotto del Fiora nella provincia di Siena e Grosseto, a Torino come Funzionario Tecnico Specialistico presso l’Agenzia Interregionale del fiume Po (AIPo), e attualmente nella Città Metropolitana di Torino, in qualità di Funzionario, svolgendo attività di supporto al RUP, nell’ambito delle attività assegnate all’Ufficio di Coordinamento del Settore Viabilità dell’Ente.