Soprattutto in quest’ultimo periodo, attività come il food delivery, la spesa a casa e gli acquisti online hanno messo in luce una grave criticità sul packaging. Parliamo di confezioni, contenitori e imballaggi, spesso di plastica o ancora peggio materiali misti e difficilmente riciclabili. Come evolverà questo mercato? Ne abbiamo parlato con Vanni, founder di That’s Vapore. Ci ha raccontato un po’ dell’evoluzione che ha subito il suo format di ristorazione da questo punto di vista e ci ha spiegato il suo concetto di sostenibilità attiva e passiva.
Ciao Vanni! Una delle prime cose che abbiamo notato entrando nel tuo locale è che avete fatto rebranding. Quali sono le ragioni che vi hanno spinto a cambiare, e cosa rappresenta il logo che avete scelto?
Era un’attività in cantiere da più di anno e per varie ragioni la realizzazione è avvenuta in questo periodo. E’ solo una coincidenza!
Il rebranding nasce dall’esigenza di trovare un modo visibile e concreto di raccontare la promessa del nostro brand: vieni da noi, entra in contatto con il nostro mondo e ti succederanno due cose. La prima è farsi del bene, prendersi cura di se stessi. Questo avviene grazie al tipo di alimentazione che proponiamo per esempio. Noi non vendiamo cibo ma vita, nel senso che alimentarsi bene significa vivere sani, vivere bene, vivere a lungo. La seconda è che insieme possiamo prenderci cura del mondo che ci circonda. Forse non ci rendiamo conto che il mondo sta bruciando e ha bisogno del nostro aiuto per essere protetto. Ognuno di noi deve fare la sua parte per raggiungere lo scopo e lasciare un pianeta migliore alle future generazioni.
Voi siete stati precursori nella cottura a vapore, che come molti nutrizionisti affermano è il metodo migliore per preservare le proprietà nutritive degli alimenti.
La cottura a vapore è fantastica da questo punto di vista, ma è spesso difficile da vendere. E’ un metodo che va spiegato anche al consumatore, perché per alcuni alimenti come il pesce riesce a preservare la freschezza e i sapori del mare. Oltre a questo è importante la scelta delle materie prime, e degli accostamenti che fai tra i prodotti.
Tra le mie proposte preferite c’era il cestino di salmone con l’arancia. E a proposito di cestini, ricordiamo che siete stati tra i primi a porre attenzione al tema della sostenibilità del packaging.
Da questo punto di vista ci stiamo evolvendo continuamente. In passato abbiamo sempre avuto un mix di materiali più sostenibili, e qualcuno meno sostenibile. Ad esempio i nostri store sono sempre stati alimentati attraverso energia rinnovabile. Dall’altra i contenitori da asporto per i cibi caldi erano in cartone e in parte plastica per evitare che i liquidi colassero fuori dal packaging.
Oggi è tutto cambiato: i nostri packaging sono riciclabili e biodegradabili.
Da ristoratore credo che la variabile principale che spinge ancora molti del mio settore a non essere totalmente sostenibili è il costo di questi packaging innovativi. E’ una variabile che ha un certo peso e non si può far finta di nulla.
Ma anche questo ostacolo, a mio parere, si supererà; e le ragioni sono due. La prima è il costante sviluppo tecnologico che diminuirà i costi di sviluppo e diffusione di questi packaging sostenibili. E la seconda ragione è etica: arriverà il momento in cui ci si renderà conto che produrre cibo sano e poi spedirlo in packaging che hanno un impatto negativo sull’ambiente non è un’equazione valida. In un paio d’anni, tutti avranno packaging sostenibili come il nostro, che cercano di non creare danni per l’ambiente.
E questo fa parte di quello che io chiamo sostenibilità passiva, ovvero arrecare il minor impatto negativo possibile sul nostro ambiente.
Il passo successivo, dove noi siamo parte pro-attiva dell’azione è quello che definisco sostenibilità attiva. Gli esseri umani non vengono al mondo solo per non distruggere l’ambiente circostante, ma anche per creare, quindi migliorare il pianeta lavorando insieme.
Con il tipo di comunicazione che fai, rendi il tuo cliente ambasciatore di questo messaggio. Ed è una cosa bellissima.
La community di persone che è entrata in contatto con noi l’ho definita “food lovers”. Voglio che amino il brand, i nostri valori, che facciano il tifo per noi. Anzi, devono fare il tifo per noi perché quello che vogliamo realizzare è troppo bello per non crederci.
Nel momento in cui ci credi ed entri in questo mondo, senti che stai facendo del bene a te stesso e a chi ti circonda. Nella vita non c’è niente di più bello di prendersi cura di se stessi e degli altri con le nostre azioni quotidiane.
Quello che raccontiamo, anche attraverso il social, è un qualcosa in cui crediamo con tutti noi stessi e sentiamo istintivamente di essere nel giusto.
Ultima domanda. Quali sono secondo te le tendenze verso cui andrà incontro Milano dal punto di vista della città, della ristorazione, anche in termini di sostenibilità?
Siamo in una situazione critica, e siamo stati chiamati a seguire la regola del distanziamento sociale, ed è giusto così. Ma gli esseri umani non sono fatti per stare distanti, per comunicare e operare solo tramite la rete. Sì allo smart working, sì al delivery, ma la vera condivisione avviene quando ci si vede fisicamente. Io auspico per Milano una società più umanizzata, rispetto anche a quello che succedeva prima del lockdown. Per me il bisogno di riunirsi, stare insieme e condividere dovranno essere i capisaldi di una società più evoluta.