Eccoci al quinto episodio di Metamorfosi: la rubrica che esplora le tendenze contemporanee in fatto di sostenibilità. In questo viaggio continua ad accompagnarci la nostra Francesca di A Milano Puoi per intervistare ristoratori che hanno utilizzato questo periodo di lockdown per trasformare il loro business e renderlo più sostenibile per lasciare un impatto positivo sulla community e l’ambiente.
In questa puntata parliamo di digitalizzazione. Oggi più che mai, anche chi era restio a creare un’immagine e una narrativa online ne ha capiti importanza e valore. In questo periodo sono state molte le realtà che hanno investito nella loro digitalizzazione: dai social e siti che offrissero una più agevole user experience; allo sviluppo di nuovi business, come la versione 2.0 del food delivery (più attenta alla qualità e alla conservazione del prodotto per come ti arriva a casa), o le ghost kitchen (un nuovo modello di business in cui i ristoranti fanno solo delivery).
Con Chiara di Belè Restaurant abbiamo fatto una chiacchiera sul loro Belivery, sulla presenza sui social e su soluzioni più sostenibili da adottare in tutti gli aspetti della ristorazione.
Ciao Chiara! Domanda a bruciapelo. Prima cosa che vi è passata in testa, appena hanno annunciato il lockdown.
Panico, direi. L’avevamo un po’ presa sottogamba la notizia ad essere sinceri. Poi delineandosi piano piano la situazione, abbiamo deciso di chiudere temporaneamente.
Abbiamo letto qualcosina del vostro Belivery. Ce ne parli? Facevate già servizio di delivery o è qualcosa di completamente nuovo per voi?
Il Belivery è stato, ed è tutt’ora il nostro primo esperimento di asporto e consegna dei piatti, in un modo un po’ differente dal solito, avendo introdotto il sottovuoto.
Per non rinunciare alla qualità dei nostri piatti, abbiamo pensato al sottovuoto come soluzione per mantenere intatto il piatto nella fase di trasporto.
Ci interessa far gustare i nostri piatti a casa come al ristorante, non dovendo rinunciare alla qualità. Per questo il delivery tradizionale lo abbiamo lasciato da parte.
Quali sono gli elementi differenzianti per te del Belivery rispetto al classico delivery?
La prima cosa come dicevamo è che non viene penalizzata la qualità che si mantiene dal ristorante fino alla consegna. Il secondo elemento è la sua versatilità. I cibi sottovuoti si possono conservare in frigorifero per diversi giorni. Noi garantiamo la qualità per una settimana in media. Quindi puoi decidere di consumare il tuo piatto gourmet quando, dove e come vuoi, mantenendo la qualità che troveresti seduto al ristorante. E poi c’è il fatto che puoi garantire dei tempi di consegna idonei.
Con un delivery tradizionale non avremmo avuto il controllo su questi elementi per noi fondamentali.
In termini di sostenibilità come avete gestito questa forma di delivery?
Innanzitutto tramite una piattaforma autonoma, il cui servizio è stato lanciato alla fine di maggio di quest’anno. Poi il passo successivo, che è poi ciò che portiamo avanti con la nostra cucina, è la scelta di prodotti e produttori locali e una lavorazione della materia prima poco incisiva.
Lato packaging, ad oggi, non abbiamo ancora una soluzione differente dalla plastica per il sottovuoto, ma cerchiamo di tenerci sempre aggiornati sotto questo punto di vista. Tutto quello che è intorno al sottovuoto è in carta ed è compostabile.
Ci piacerebbe utilizzare il vetro per le consegne, ti dirò, e stiamo cercando di capire in questo periodo la fattibilità della cosa. Ovviamente non può funzionare per tutti i piatti, ma per le salse o le conserve potrebbe essere la soluzione ideale.
Quindi per il delivery avete messo in piedi anche la piattaforma digitale?
Sì, come ti dicevo abbiamo creato una piattaforma parallela al nostro sito. Sono due domini differenti Belè Ristorante e Belivery. Volevamo mantenere separato il sito con il suo menù e sistema di prenotazione, dal Belivery che ha tra l’altro un menù ad hoc a cui si aggiunge l’Officina Gastronomia. È un format di percorsi gastronomici che offriamo nel ristorante, ma che nella versione delivery si trasformano in una box contenente gli ingredienti e delle indicazioni per ricreare quel piatto. La piattaforma l’abbiamo testata inizialmente con i nostri clienti abituali che volevano provare il servizio. Da qualche tempo abbiamo incrementato la clientela, ma il nostro obiettivo finale sarebbe un altro tipo di utenza, come le aziende per fare un esempio.
La vostra presenza social è cambiata da prima e dopo il lockdown? Pensiamo che molti brand abbiano marcato notevolmente la loro presenza social per restare impressi nell’immaginario dei loro e dei potenziali consumatori.
I nostri social sono sempre stati curati internamente da noi. Fino ad oggi non ci abbiamo messo tantissimo effort ma è una cosa che stiamo cercando di migliorare. Anche perché in questo lockdown i social sono stati la nostra finestra sul mondo esterno per così dire. E le persone hanno avuto tutto il tempo necessario per abituarsi ad essi, conviverci e stare al passo con la loro evoluzione.
Credo che sia fondamentale essere presenti sui social con contenuti che diano voce al proprio brand. Per quanto riguarda noi, abbiamo una clientela di fascia 50-60 anni, che non sono super avvezzi ai social, se non a Facebook. Però si, in generale, vorremmo migliorare la nostra presenza online.
Ultima domanda. Che sviluppi futuri ti aspetti in termini di sostenibilità?
Una cosa a cui non fa mai caso nessuno è il servizio di lavanderia. Mi aspetterei fosse più sostenibile, trovando magari dei prodotti di pulizia che siano privi di sostanze nocive per l’ambiente.
Poi c’è sempre la parte bio dei prodotti, che è un settore che ha bisogno di ulteriori sviluppi: in termini di reperibilità e di scelta, di costi associati alla materia prima, di tracciabilità del prodotto e di sostenibilità a livello di produzione.