METAMORFOSI EP.5: LA CONTAMINAZIONE SOCIALE SOTTO L'OCCHIO DI MAGRITTE

METAMORFOSI EP.5: LA CONTAMINAZIONE SOCIALE SOTTO L'OCCHIO DI MAGRITTE

Ciao Silvia, raccontaci un po’ la storia… come nasce l’idea di RaB bar, il motivo che vi ha portato a creare questa realtà.

Tutto nasce da una nostra esperienza di volontariato nell’associazione Handicap… su la testa! del Giambellino. L’associazione svolge attività ricreative per ragazzi con disabilità intellettive.

L’idea in sostanza è quella di passare del tempo insieme, divertirsi, svagarsi.
Nel 2011 abbiamo ideato il Laboratorio Baracca, dove una volta al mese gestivamo una serata all’interno del circolo Arci Biko. 16 persone tra volontari e disabili che organizzavano concerti, mostre, dove tutti collaboravano alla buona riuscita dell’evento.
L’obiettivo è sempre stato quello di non rendere i ragazzi meri fruitori delle attività, ma di essere la parte proattiva, gli attori degli eventi così da responsabilizzarli, dar loro un senso di progettualità, farli sentire parte di qualcosa che viene fruito da altri e apprezzato.

Da quelle serate, 5 di noi hanno deciso di lanciarsi in un progetto più ambizioso. In particolare, io e Valentina (l’altra socia), ci siamo occupate della gestione a tutto tondo della realizzazione della nuova attività, con il contributo di Fondazione Vismara e Fondazione Intesa Sanpaolo. Ed eccoci oggi qua!

        

Come siete approdate al nome del locale?

Il nome, credo sia stata una delle cose più difficili da decidere. E’ come quando devi scegliere il nome per tuo figlio. Deve avere un senso, ci spendi del tempo.
Siamo approdate a RaB, semplicemente il contrario di bar, uno stravolgimento, un bar fuori dagli schemi. Infatti, sotto il nome abbiamo messo una citazione alla Magritte da “questa non è una pipa” a “questo non è un bar”.
Anche il logo, come potete notare, riprende l’occhio di Magritte. Ci piace il surrealismo, non solo come corrente artistica, ma come spostamento dei punti di vista, delle prospettive, che richiama molto quello che è successo a noi, come volontarie, stando insieme a questi ragazzi. Siamo state contaminate dalla loro prospettiva della vita.

Come si inserisce il contesto delle persone disabili all’interno di RaB?

 I ragazzi lavorano nel locale con noi. Al momento sono in 5, più 6 persone “normodotate”. Mentre durante inverno, data la maggiore affluenza di clienti, abbiamo degli extra che ci aiutano, e ci sono anche alcuni che stanno svolgendo un tirocinio. Da quest’ultimo punto di vista abbiamo ricevuto parecchie candidature. RaB è molto attenta alla persona, pertanto, per loro svolgere un percorso di accrescimento lavorativo, e non solo, risulta molto interessante.

L’intento sociale è molto presente, ma non è solo rivolto ai ragazzi. E’ una “contaminazione sociale” a due vie, noi ci siamo fatte coinvolgere dal loro modo di vedere la vita, loro si sentono parte di un progetto più grande, e anche i nostri clienti, venendo qui semplicemente a mangiare un panino, escono dal locale maggiormente arricchiti con prospettive nuove e differenti.

Quello che cerchiamo di fare con la nostra attività è di stare attenti alla persona che abbiamo di fronte, indipendentemente da chi sia. Ascoltare l’altro, capirne i punti deboli, farne fruttare le potenzialità.

         

Sul vostro sito abbiamo notato la sezione eventi. Quali sono le linee guida della programmazione artistica? Come selezionate gli artisti? In sostanza, come strutturate il programma?

Una delle idee alla base di RaB è essere un luogo di “co-costruzione”. Per noi RaB raggiunge il massimo della sua bellezza “nel momento in cui le persone si sentono un po’ a casa loro”. Spesso capita che ci lasciano “pezzi di loro” – un quadro, un disegno, un libro – che si uniscono alla nostra collezione di oggi provenienti da ogni dove.

In questo momento c’è la mostra di Nicholas, uno dei ragazzi che lavora con noi. Quel quadro grande che vedete su quella parete è in costruzione, ed è una sua opera. Per creare l’opera, ogni persona che passava dal locale doveva scrivere su un foglio 3 cose che avrebbero portato in un mondo ideale, e le imbucava in una cassetta. Nicholas, in seguito, ha letto tutto quello che ognuno aveva scritto, disegnando sulla tela le immagini di ciò che era stato scritto. Quello era il mondo ideale di chi era passato a RaB.
E’ bello dar voce a diverse espressioni dell’arte, perché diverse sono le persone.

       

Entrare in RaB significa far parte di un pensiero, condividere un ideale.

Assolutamente. Anche se spesso ci rendiamo conto che come prima impressione, il clienti appare un po’ disorientato, nel senso che non riesce a ben identificare RaB.

Personalità e idee diverse che coesistono. Un giorno trovi alla radio Paolo Conte, il giorno dopo la Kumba Music. 

Abbiamo notato l’estro creativo nell’arredamento. Materiale di recupero, che si avvicina molto alla filosofia di WAMI. Ce ne parli?

In sostanza, tutto quello che vedete sono materiali e oggetti recuperati dai luoghi più disparati: mercatini, l’asse da stiro che vedete all’esterno lo abbiamo recuperato sul ciglio della strada. Recupera, sistema, scartavetra, ridipingi… et voilà, il nostro arredo originale che racconta storie! 

Anche nel recupero dell’arredo impari ad essere parte di RaB.

Le lampade che vedete sopra il bancone, per esempio, arrivano dalla cascina di una nostra socia, ed erano utilizzate nelle incubatrici dei pulcini (ovviamente le lampadine sono differenti, altrimenti sai che consumo!). Lì su quel mobile, potete invece notare una vecchia radio… eredità di mia nonna! 

     

Quel corno, lassù, è il primo pezzo che abbiamo recuperato per il locale, che come potete notare funge ora da lampada.

Vedete quella insegna lì “Ciuk”?! Beh ci piaceva tantissimo, stava per diventare il nome del nostro locale, prima che RaB balzasse nelle nostre menti. Lo sapevate che è un paesino in Veneto?

Grazie Silvia, per averci dedicato il tuo tempo! E’ stato piacevole e stimolante entrare in RaB e conoscere più a fondo la vostra mission.